ITALIA-GERMANIA "82, QUANDO A SCIACCA IL REAL SUD SFIDO' LO STELLA, FINENDO A...
Il mio 11 luglio si è verificato un po' prima di quello che tutti ricordano, diciamo nel marzo-aprile di quel 1982. Facevo la quinta elementare, ed avevamo fatto una discreta squadretta di classe, pomposamente chiamata Real Sud. Durante l'anno infinite partite con l'altra quinta della scuola, e devo dire che ci andava spesso bene. Giocavamo nel parcheggio davanti all'istituto, che nel pomeriggio si svuotava di macchine e diventava il nostro Maracanà. Oddio, il fondo era l'infame asfalto, i pali delle porte fatti con dei mattoncini, se cadevi lo squarcio alle ginocchia era assicurato, ma chi se ne importava? A noi piaceva, e del resto, allora di spazi dove andare a giocare ce n'erano pochi, di campetti in erba sintetica manco l'ombra, in erba vera neanche a parlarne. Dicevo che eravamo in piena primavera, e, prima che la squadra si sciogliesse, era giunto il momento della grande sfida col Grattacielo Stella, il Brasile del paese, il vero mito per tutti quelli che allora avevano dieci anni. Il Grattacielo era l'espressione di un rione che gravitava attorno a un brutto palazzone, il Grattacielo Stella appunto, che allora era l'edificio più alto della città. Avevano un campetto tutto loro, i bambini dello Stella, ossia una piazzetta con delle mattonelle rettangolari bianche, lucide e scivolosissime. Una delle due porte era sagomata nel muro, per l'altra ci si arrangiava con le solite mattonelle. Arrivò il grande giorno. Il Grattacielo schierava tutte e tre le sue stelle, "Cussu" Galenci, Giacomino Alba e Vito Petrigno. Il primo era il cervello della squadra, piede fino e ampia visione di gioco, per quanto ampia potesse essere in un campetto più piccolo di uno per il calcio a 5. Fece carriera, giocò anche in C2. Il secondo correva come un matto, segnava a valanga e faceva segnare. Nella metà negli anni 90 era diventato il perno dello Sciacca, in Interregionale. Il terzo era il mastino della difesa, faccia cattiva e pronto sempre a mettere la gamba. Non ho mai capito se Petrigno fosse il suo cognome o un soprannome. Di lui ho perso le tracce. Il nostro campione era Ignazio Sabella, detto "pagghiazzu", nomignolo che stava sia per pagliaccio sia per strofinaccio. Sbruffone, fantasioso e irritante come solo uno che sa di essere forte può essere, Ignazio faceva e strafaceva, e quando girava bene erano magie. Arrivò a giocare nelle giovanili della Lazio, adesso dovrebbe fare l'avvocato. In porta c'era Mauro, che stava tra i pali perché con i piedi era improponibile. Al centro della difesa c'era Bernardo, qua e là spaziavano Salvatore e Giuseppe e poi io, che avevo una bruttissima maglietta beige con un 5 sulle spalle, che nella numerazione ad 11 di allora significava stopper. In realtà giocavo dove c'era la palla, senso tattico sotto lo zero. La partita comincia, e ci gira tutto bene, troppo bene. Ignazio è in giornata di grazia, Petrigno lo ferma, quando lo ferma, solo buttandolo giù. E il pallone non passa, Mauro è da antidoping, e in difesa giochiamo alla perfezione. Insomma dopo una mezzoretta siamo avanti, e tra i ragazzi del Grattacielo cresce il nervosismo, cominciano a addossarsi le responsabilità tra loro, mentre a noi tutto va per il meglio. Poi scatta la scintilla. Sarà stato un fallo, un gol contestato o chissà che cosa, chi se lo ricorda, ma qualcuno dello Stella punta uno dei mattoncini che facevano da palo e cominciano a volare i sassi. Neanche il tempo di finirla in rissa, scatta la fuga sotto una pioggia di pietre. Avevamo vinto, avevamo battuto il Mito, correvamo e urlando sfottevamo quelli dello Stella. Alcuni di noi raccolsero qualche pietra per terra, singolari trofei di un pomeriggio da non dimenticare.
Sì, qualche mese ci fu Italia-Germania, Rossi, Tardelli, Altobelli, Pertini, Bearzot, Campioni del mondo, Campioni del mondo, Campioni del
mondo, la Coppa alzata in cielo. Troppo bello per essere vero, troppo irreale per sentirlo vicino. Io, la mia finale, l'avevo già giocata.
by Rosso Granata
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